sistro
«Si dà il caso che il sottoscritto sognatore e maníaco abbia sognato e pensato, cioè architettato mentalmente, case e ville e castelli durante le lunghe camminate dell’infanzia e dell’adolescenza sugli stradali prealpini, nelle ore d’una fuggente serenità; e abbia patito l’incanto di parchi e giardini, dei frútici odorosi, dei grandi allori e delle loro ombre materne … Gli alti alberi e i sistri dell’abetaia prealpina, le “cipolle” dei ciclamini raggiunte nell’odoroso terriccio del sotto-bosco con uno zappetto, furono le pure gioie concesse dal caso alla mia infanzia senza denari. Non ero ancora nevrastenico, la qual perfezione raggiunsi dopo rozza disciplina a cui gli educatori mi piegarono. Atto allora a discernere, quasi per divinazione, la demenza dei “grandi” e la boria indefessa degli adulti nel vantare i loro dispotici “mériti”, dal tenue fiore lógico e dal dolce matéma del mio cervello di bimbo, o di adolescente … Prego Lei ed Elena di accettare questa lieta rievocazione del mio lieto, libero sogno come l’omaggio di alcune rose per Elena e di un cespo di timo o di ramerino per entrambi. Il rezzo delle querci e forse dei castani o dei lecci consentirà loro di meriggiare sereni» (Lettere a Citati, pp. 80-81).
Allorché nel 1965 Pietro Citati acquista una villa in provincia di Grosseto, la Castellaccia di Giuncarico, Gadda, felice di sapere l’amico non solo «debajo de techado» (‘al riparo’: si veda Don Quijote, II, xii) ma immerso nel verde di una «selvetta» e di un «giardino ricco di piante varie» (Lettere a Citati, p. 80), gli invia un messaggio gratulatorio che è senza dubbio il più scintillante (e toccante) del loro cambio epistolare. Gadda rievoca infatti quella stravaganza o «anomalia psichica» sulla quale si era soffermato già nel 1953, vale a dire «l’irrefrenabile desiderio», vivo sin dall’infanzia, «di passeggiare muto, assorto, a capo chino, costruendo mentalmente un edificio»: «aritmetizzante esercizio», dunque, più che vana fantasticheria di un flâneur (Opere III, pp. 1057-58), quasi lo abitasse, pervenuto lungo lo «stame» delle generazioni, «il vecchio sogno dei muratori lombardi» (Lettere a Citati, pp. 80-81). E, insieme, rievoca il conforto che a lui, «prova difettiva di natura» (CdD 132) e vittima del sadismo degli educatori (cfr. Cui non risere parentes, in CdD 245-48), assicurava la presenza, sullo sfondo del paesaggio prealpino, del ben più complice e umano ‘popolo degli alberi’ (si veda ad esempio il «popolo infinito dei pioppi» di VlC 159 o il «popolo distorto e argentato degli ulivi» di QP 131), simbolo, come ha notato Giancarlo Roscioni, di «un pagano, incorrotto e religioso passato», di una «“società senza frode”, di tacita e solidale saggezza» (La disarmonia prestabilita, Torino, Einaudi, 19752, p. 49; utile anche la voce Alberi di Federico Bertoni in PGE). Entrambi i temi rivivono, nella lettera a Citati, grazie a un dettato trapunto di preziose voci letterarie, in prevalenza dannunziane, come frutice ‘arbusto’, ‘arboscello’ (si veda ad esempio Alcyone, Gli indizii, v. 4: «Ahimè di bacche il frùtice s’affoca», come prova del resto la ripresa parodica di CdU 121 «Lodarò la spica e ’l corimbo, et il frùtice, e ’l pane; e i teneri vitelli, e le dolci carote»), sistro ‘suono o verso stridulo o squillante’ (GDLI; cfr. DG 413; e si veda Maia, vv. 8382-86: «Odo il brulichìo del tuo lento / guaime, il tuo fulvo pineto / con gli aghi e le pine far vaghi / accordi, e sonar come sistri / il grande oro tuo frumentario»), meriggiare ‘stare in riposo, all’aperto e in luogo ombroso, nelle ore calde del meriggio’ (si vedano in particolare le Novelle della Pescara, La vergine Anna, III, e Maia, vv. 7918-21: «Tre volte sette: la strofe / qual triplicata sampogna / di canne ineguali risuona / con l’arte di Pan meriggiante», passo citato nella lettera a Citati del 18 agosto 1962: «… mi sono astenuto di proposito dallo scriverle, per non interrompere, a Lei, il silenzio di Pan meriggiante», p. 62; senza contare l’eco montaliana). E non meno selette sono voci come ramerino ‘rosmarino’, arcaismo e toscanismo (cfr. DG 149), rezzo ‘ombra’, di ampia diffusione nella nostra tradizione da Petrarca sino a D’Annunzio (cfr. DG 426), e infine il grecismo matema ‘cognizione, studio’ o anche ‘scienze matematiche’ (→ matema), impiegato solo da Vico (La scienza nuova, II, ii, 6, 1): «A’ greci fu anco Giove esso cielo, in quanto ne consideravano i teoremi e i matemi altre volte detti, che credevano cose divine o sublimi da contemplarsi con gli occhi del corpo e da osservarsi … come leggi di Giove; da’ quai matemi nelle leggi romane “mathematici” si dicono gli astrolaghi giudiziari» (nella biblioteca di Gadda, figura, con nota di possesso autografa, l’edizione Laterza del 1928; cfr. Catalogo della biblioteca di Carlo Emilio Gadda, a cura di Giorgia Alcini e Milena Giuffrida, Roma, Bulzoni, 2022, p. 233).
giorgio pinotti