CENTRO STUDI GADDA

A cinquant’anni dalla sua scomparsa, Carlo Emilio Gadda (Milano, 1893 - Roma, 1973) è più vivo che mai – e sempre più letto, amato e interpretato, in Italia come all’estero.
Per iniziativa di Mariarosa Bricchi, Paola Italia, Giorgio Pinotti e Claudio Vela è nato il Centro Studi Gadda (CSG), che ha sede a Cremona presso il Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali dell’Università di Pavia, e intende proporsi come punto di riferimento, spazio di documentazione, luogo di incontro, scambio e discussione non solo per gli specialisti ma per chiunque intenda accostarsi al più spericolato dei modernisti europei, all’unico scrittore filosofo-naturale del Novecento, al ricreatore della forma-romanzo (→ ARCHIVIO, NOTIZIE). Al tempo stesso il CSG intende sviluppare un progetto culturale capace di dare visibilità, attraverso iniziative editoriali, espositive, teatrali e didattiche, all’opera di Gadda e al tormentato ma capitale rapporto che lo legava a Milano e alla Lombardia (→ OPERE, «IL GADDUS», CANTIERE GADDA).

Come ha scritto Cesare Garboli, accanto a scrittori che hanno saputo amministrarsi con sagacia e lungimiranza, «fedeli a una vocazione che combaciava […] con una professione tenacemente esercitata», e dai quali, dopo la morte, non ci aspettiamo più nulla, ve ne sono altri come Gadda (e Manganelli, Flaiano e altri ancora) ‒ i dissipatori, «grandi attori di scena postuma e vuota». È nei loro archivi che cerchiamo «una verità che non ci è stata detta, e che pure è stata affidata alla caduca volubilità della vita». Terreno di ricognizione privilegiato del CSG sono dunque gli autografi e i documenti che, a partire dagli anni Settanta (al 1974 risale la pubblicazione dell’inedita Meditazione milanese) non hanno cessato di affiorare, copiosissimi, dai principali fondi archivistici, ora custoditi in tre grandi luoghi di conservazione: l’Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana di Milano (fondi Citati, Garzanti, Roscioni), l’Archivio Contemporaneo “A. Bonsanti” del Gabinetto Vieusseux di Firenze, l’Archivio Liberati di Villafranca di Verona. La progressiva conoscenza di questi fondi – dai quali fra il 1974 e il 2014 sono riemersi non meno di cinquanta inediti – non ha fatto che confermare la presenza, al di sotto della cresta emergente delle opere che Gadda è venuto via via (faticosamente) pubblicando, di un’officina singolarissima, sperimentale, ad alto voltaggio, esplosivamente progettuale, nella quale si cela, per usare di nuovo le parole di Garboli, quella «verità che non ci è stata detta».

Un altro terreno d’azione delle iniziative, soprattutto espositive e didattiche, del CSG è Milano: il suo centro storico e i quartieri allora periferici come Lambrate, le sue istituzioni e i suoi monumenti (il Circolo Filologico Milanese, il Politecnico, l’Umanitaria, il Cimitero Monumentale, ecc.), i vari strati della sua lingua sono infatti protagonisti dell’Adalgisa, del San Giorgio in casa Brocchi, della Meccanica allo stesso titolo di Adalgisa stessa o della contessa Giuseppina Brocchi o di donna Teresa Velaschi. Di più: sono veri e propri motori narrativi, non meno di Parigi e del suo argot per Émile Zola. Anche la virulenta satira nei confronti della borghesia milanese – quell’attitudine che Contini ha definito «antivittorianesimo ambrosiano» ‒ non ha mai offuscato in Gadda la consapevolezza dei meriti della sua città e l’orgoglio di appartenervi. Consapevolezza e orgoglio che la distanza (a partire dal 1940, allorché si trasferisce a Firenze) e il tempo non hanno fatto che accrescere. Il Gadda ‘milanese’ non può d’altra parte essere compreso se non si tiene presente il suo «immortale omonimo», cioè Carlo Porta, così come il Pasticciaccio non può essere inteso se non si considerano, insieme al venerato Belli, I Promessi Sposi, cui sono stati dedicati veri e propri ‘esercizi di ammirazione’ (come il fondamentale Apologia manzoniana). Lo sguardo va poi esteso da Milano alla Brianza, e in particolare a Longone al Segrino, fra Como e Lecco: «Nell’infanzia e giovinezza fino a tutto il 1924-25» scrive Gadda in una scheda autobiografica «ebbero importanza psichico-immaginativa per il Nostro le località di Milano, Monza […] la Brianza (Erba, Longone, Lago del Segrino). Suo padre costruì una fottuta casa di campagna a Longone nel ’99-’900 e questa strampalata casa gli rimase appiccicata fino al 1937. Panorama stupendo sui laghi brianzoli, Monte Resegone». È questa amata-odiata Brianza, non a caso, a fare da sfondo a La cognizione del dolore (nonché a Villa in Brianza).