repulsione

«Ricordò la famosa cattura dell’Ateuco, lo scarabeo nero … Una grossa e rotonda pallottola gli stava davanti, ossia dietro … Puntava sulle zampe anteriori e retrocedeva in una sicurezza perfetta, come se ci vedesse dal pigidio. Ogni volta bisognasse afferrava la pallottola con le posteriori ed ecco, ecco la sospingeva all’insù, terribilmente, valicando con la tenacia di Sisifo le piccole dune, le increspature dell’arena; a noi un nulla, bastioni enormi a lui. La pallottola, perfettamente sferica e infarinata come una polpetta, era venti volte più grossa dell’Ateuco, ma doveva averlo inebriato col suo profumo, come l’odor solo della “borsa” inebria il pugile alla lotta. E la sfera ascendeva, lenta: si sublimava sopra la repulsione di quella pazienza color pece, superava i tenebrosi divieti della gravità. Trasgredito il vertice, ripiombava rotolando nella gravità. L’Ateuco, infaticato, la sospingeva per monte e per valle fino alla dimora di sua donna: che attendeva, ansiosa, per il piccolo, per la imminente larva, quella balia provvidenziale» (L’A 278-79).

Della «grossa e rotonda pallottola … infarinata come una polpetta» – la «sfera» così tenacemente (anzi «terribilmente») sospinta dallo scarabeo «infaticato» per assicurare il futuro della specie – solo nel seguito, quasi con effetto sorpresa consideratane l’eccellenza formale («perfettamente sferica», oltre che dal «profumo» inebriante per l’insetto), si scoprirà la materia di cui è composta: un caso di violenta antitesi forma-contenuto. Mentre infatti Carlo nella sua passione di entomologo dilettante cattura l’insetto con le apposite pinze (siamo sulla spiaggia di Viareggio, in un episodio centrale del ‘disegno’ eponimo dell’Adalgisa, ed è proprio l’Adalgisa a raccontarlo alla cognata Elsa, a sua volta riportando la narrazione del Carlo), un ragazzo prende «la pallottola, eccitato a conquistar la sua parte di fortuna; che però la sentì molle e anzi gli si spiaccicò fra i diti: “Ma un vedi che la è cacca, ettù bischero!... ”, strillarono ridendo i compagni» (L’A 279).
A chi non fosse già istruito delle abitudini dell’Ateuco la rivelazione risulterebbe improvvisa, come non era nella contemporanea descrizione che del coleottero trasportatore aveva pubblicato Riccardo Bacchelli in alcune pagine del suo romanzo del 1942 Il fiore della Mirabilis. Su questa contemporaneità Gadda si era sentito in dovere di fare chiarezza, anche rivendicando la sua propria primogenitura, con discrezione ma fermamente. Nella nota 18 del racconto, che giunge molto oltre rispetto al nostro passo, e cioè quasi alla fine del racconto dell’Ateuco, specifica infatti: «Nel mirabile Fiore della Mirabilis di riccardo bacchelli, è pure descritta la ostinata retrogressione, l’indaffarato zampettare dell’Ateuco: capitolo quarto, pagine 209, 210, 213 dell’edizione Garzanti 1942. La spoglia d’un Ateuco, detersa dall’onda, è raccolta dal Brederus sulla spiaggia del Battifredo di Ugliancalda (= Forte dei Marmi), non lungi da Viareggio. Alcune osservazioni dell’Autore circa la struttura degli insetti (pag. 210) e l’infinito rigoglio della vita (pag. 213) possono (ovviamente) accompagnarsi ad alcuna delle mie, o del mio personaggio … Desidero notare che Il Fiore della Mirabilis è uscito a puntate in sei numeri della Nuova Antologia dal 1° ottobre al 16 dicembre 1942 – Anno 77. Le glorie dello scarabeo vi son celebrate col numero del 16 dicembre 1942, fascicolo 1696, pagine 98, 99, 100. Il mio Ateuco, imbalsamato nel 1934, vide la luce dell’eternità ne Il Tesoretto, almanacco dello Specchio, 1941, Mondadori, stampato in sulla fine del 1940» (L’A 323). Nelle pagine di Bacchelli pure ricorrono le «grevi pallottole» (Il fiore della Mirabilis, Garzanti, Milano, 1942, p. 209) sospinte dallo scarabeo, ma le impressioni del punto di vista umano sono dirette esplicite e ripetute (nostri i corsivi): «Eran infatti, le pallottole, di sterco, che quello scarabeo raccoglie e tesoreggia con tanto amore», «testimonianze … particolarmente sorprendenti e scabrose, al veder nostro, per la materia dello loro sciagurata predilezione», «lui li aveva visti all’opera non senza riso e non senza schifo», «effimera vita imbrattata» (p. 210), «bisogna fastidiosa e schifosa», «quel sucido fervore dell’insetto» (p. 213).
A Gadda è sufficiente una parola, introdotta nel passaggio dalle carte di Un fulmine sul 220 (questa parte del racconto dell’Adalgisa da lì deriva, il che sostanzia l’affermazione e la datazione dell’Ateuco come «imbalsamato nel 1934») alla versione pubblicata nel Tesoretto del 1941 e poi nel volume del 1943. Nel Fulmine il passo era: «E la sfera saliva, saliva, superava miracolosamente la gravità, trasgredito il vertice ripiombava rotolando nella gravità» (154). Ora invece la sfera per il suo movimento si avvale di verbi di spiccata impronta letteraria: non semplicemente saliva ma ascendeva, un’ascensione dunque coerente con l’in parte sinonimico e pregnantissimo si sublimava: cioè, nel contesto dell’azione dello scarabeo, ‘si alzava’; sì, ma «sopra la repulsione»: impossibile non leggervi il soprasenso di ‘si elevava purificandosi’, con incrocio psicanalitico. Si impone un doppio livello di lettura, come spesso in Gadda. Letteralmente repulsione si presenta in una accezione inattestata, in quanto per suggestione etimologica qui significa ‘pulsione, spinta all’indietro’ (una «retrogressione», come con altro latinismo tutto gaddiano la definisce nella nota): realmente l’Ateuco sposta la sfera spingendola all’indietro, e pertanto il suo è un movimento di repulsione (e chissà che sull’ingegner Gadda scrittore non abbia agito un sintagma tecnico da Manuale Colombo come motore a repulsione, o anche, specifico della tecnica ferroviaria per indicare i ‘respingenti’, organi di repulsione) che permette alla sfera di sublimarsi, ascendere, superare gli ostacoli. Latinismo semantico per rivitalizzazione dell’etimo, non meno del successivo «trasgredito» (‘oltrepassato’, ‘superato’), repulsione però certamente accoglie anche il significato corrente, che qui diventa invece aggiunto, di ‘disgusto’, ‘ripugnanza’, considerando la sostanza fecale della sfera. Unica, e nello stesso tempo ambigua anticipazione di quanto verrà rivelato di lì a poco all’improvvido ragazzo (e al lettore): quella che per lo scarabeo era l’oggetto di un’azione “sublimante” provocherà in lui una reazione di disgusto.
Le pagine sullo scarabeo sono una trasformazione letteraria, nei soliti modi densissimi della scrittura gaddiana, di un’esperienza personale. In una nota rimasta inedita tra le carte del Fondo Citati Gadda rivela: «È stato un caso, un puro caso trovare l’Ateucus sulla spiaggia a Viareggio. Il caso non è poi così raro e l’Autore autoptico ne ebbe ripetuta visione a Ostia, nelle dune, a Viareggio. La polpetta proprio d’un color polpetta con una peluria dorata, era meravigliosa: la sfera d’Euclide. Nerissimo, d’uno splendore freddo, il >propulsore< protagonista.» (1/17/1v). Non è da escludere che la “repulsione” abbia per un attimo contagiato fonicamente l’Ateuco propulsore subito cassato a favore di protagonista, nello splendore freddo della sua «pazienza color pece».

claudio vela