nanificato

«Ma gli alberi sacri erano spenti: erano stati recisi: perché desse albergo, la terra, alla nanificata prole degli umani» (VM 27).

Con un endecasillabo – «nanificata prole degli umani» – che consuona con l’apostrofe dantesca del primo verso del canto di San Francesco, «O insensata cura dei mortali…» (Par., XI), in una delle sue auto-dichiarazioni più ambiziose (Come lavoro), Gadda dà forma a un personalissimo trattato di pedagogia sociale, e mentre esalta il «popolo dei pioppi» condanna il popolo degli uomini, stolti abbattitori di alberi, sostituiti da cartelloni pubblicitari: «C’erano lettere, tetre lettere sulle poche alture della terra, in luogo dello spirito degli alberi venuto dal profondo: e manifesti, e cartelloni gialli sui muri». Inconsapevoli distruttori di civiltà antichissime che svettavano nelle pianure, gli umani ora «razzolano» ridotti alla misura minima della loro piccolezza, ovvero ridotti a individui rasoterra (a confronto del «popolo alto dei pini»): «nanificati». Destino di tutti coloro che ergono il proprio io a principio ordinatore: della Natura, della Storia. Come san Paolo, nella tela di Caravaggio a Santa Maria del Popolo, «atterrato dalla folgore: raccorciato, nanificato a terra dalle leggi inesorabili della prospettiva» (VM 123).
Il GDLI registra il termine sulla scorta dei due esempi gaddiani, ritagliando – come spesso fa – una definizione ad hoc, «Reso meschino, ridotto a essere giudicato vile, di nessun valore», che sposta la riduzione di scala a un giudizio di valore, implicito nel testo, ma forse troppo tranchant: san Paolo è annichilito dalla folgore divina, «atterrato», nel dipinto della Cappella Cerasi, da un potere che lo acceca e lo priverà della parola, ma è anche letteralmente ripreso da un punto di vista rasoterra, e quindi «raccorciato» nel corpo, uguale e contrario allo scandaloso Cristo rappresentato dal basso (e «nanificato») nel capolavoro del Mantegna a Brera. Il GDLI ignora inoltre una citazione d’autore, recuperata nell’ONLI (Osservatorio Neologico della Lingua Italiana, https://www.iliesi.cnr.it/ONLI/BD.php), ad vocem, dove Francesco Merlo («La Repubblica», 24 febbraio 2016) ricorda una fulminante battuta di Umberto Eco, che «conosceva e sorrideva dell’Italia della buonanima che celebra il morto per rubargli la vita: “Nanifica il defunto che magnifica”, diceva». Saggezza colta (o popolare?), che riconduce al «nano» di Ajaccio e al suo doppione novecentesco: il «nano e sciatto batrace da le gambe a roncola» (EP 77).
Se è attestata l’accezione tecnica, e in particolare elettronica, per «Miniaturizzare» (GDLI), varrà anche l’immagine della stoltizia umana, di «nani» che invece di sedere sulle spalle di giganti (delle foreste) li abbattono (e di nani e giganti tratta uno dei libri più amati da Gadda, I viaggi di Gulliver, adottato come titolo del ‘fantascientifico’ racconto pubblicato nel 1970 in Un augurio a Raffaele Mattioli). E il verso dantesco, con la celebrazione di «Madonna Povertà» e dell’amore che «per tal donna» aveva portato Francesco in «guerra del padre» (vv. 58-59), non parrà allora così lontano, se avrà potuto ricordare a Gadda, nel «più letterario dei suoi saggi», «al cuore bruciante della sua personalissima nevrosi» (così Mariarosa Bricchi nella nota a Come lavoro, VM 318), quell’ordine naturale verso cui, bambino, rifuggiva, «perduto nei sogni dell’infanzia», consapevole che «del popolo alto dei pini era la sua genitura e la sua gente, l’antica» (VM 27).

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