gnocco
«Non è possibile pensare un grumo di relazioni come finito, come un gnocco distaccato da altri nella pentola. I filamenti di questo grumo ci portano ad altro, infinitamente ad altro …» (MM 645).
«Automobile gnocco: automobile pacco postale: chiuso, legato, inceralaccato, sigillato ‘in aeternum’. Tutti i gnocchi sono invece unti, agglutinati, filamentosi per formaggio e per salse, e uno cento ne traina, e ognuno dei cento poi mille e ognuno dei mille, milioni: e così ‘in infinitum’» (MM 887).
Ci sono parole che punteggiano, come segnali luminosi, l’intero corpus gaddiano: sembrano dispiegarsi a coprire territori semantici vasti ma si aggrumano infine attorno a un concetto-cardine, così che il loro valore non è molteplice, ma uno, pervasivo e sfaccettato. Il primum è, sempre, un dato di realtà, attinto alla «sfera … del puro nostro vivere: I gnocchi! le polpette!» (AS 1159). Gnocco come cibo composito, «Spezie di pastume grossolano» (TB), e gnocco come grumo/agglomerato si alleano, in forma di similitudine, fin dalla Meditazione milanese (1928), a dare evidenza sensibile alla rete delle relazioni che avvolge il reale. Gli stessi nodi, infine, che stringono le famiglie della borghesia meneghina: «i Lattuada, i Perego, i Caviggioni, i Trabattoni, i Berlusconi, i Bambergi, i Dadda, i Frigerio, i Tremolada, i Cormanni, i Ghezzi, i Gnocchi, i Gnecchi, i Recalcati, i Ghiringhelli, i Cavenaghi, i Pini, i Tantardini, i Comolli, i Consonni, i Repossi, i Freguglia. Coniugati fra loro, imparentati fra loro, associati fra loro» (L’A 213-14). Nomi la cui sequenza, tra allitterazioni, rime e quasi-rime, non rinuncia a suggerire il terzo senso di gnocco che – in italiano come in milanese – vale anche ‘babbeo’. In piena solidarietà con l’essenza filamentosa che Gadda non smette di rideclinare, la parola si dissemina, e genera nuove immagini, ora per contagio fonico, ora per gemmazione semantica: il «nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo» (QP 13) identifica la filosofia di Ingravallo, come i «due duri gnocchi», o bitorzoli, sulle mandibole (QP 295) ne marcano la fisionomia. Talvolta lo gnocco – l’anti-monade, la parola infinitamente metonimica («cento poi mille … milioni», MM 887) che crea relazioni con tutto ciò che è intricato, spurio, molteplice – scompare dal testo finito, dove si depositano però tracce riconoscibili per via variantistica. È questo il caso della coppia quasi-sinonimica gnocco/maccherone, dove solo il secondo elemento approderà alla versione a stampa del saggio Fatto personale… o quasi, in rivista nel 1947, quindi confluito nei Viaggi la morte, in libreria nel 1958 (cfr. VM, Nota al testo, pp. 384-85). L’etichetta macaronico è attiva fin dalla pagina inziale, dove Gadda si difende dall’accusa di «tumescenza barocca» (VM 106), dimostrandone la presenza diffusa nel parlar comune come nella scrittura letteraria. Il manoscritto più antico precisa che il vocabolo macaronico, «deriva dai macaroni, sive gnocchi». Segue, in parentesi, l’immancabile pezza d’appoggio: «Ugo Enrico Paoli, affermato filologo studioso del Folengo mi illumina precisando circa il senso dei macaroni». In una riscrittura successiva compare anche l’esplicita citazione di due testi di Paoli: il manuale Il latino del Folengo (Le Monnier, Firenze, 1937) e l’edizione del Baldus (Il Baldus e le altre opere latine, Le Monnier, Firenze, 1941), cui si riferisce l’indicazione «pag. 48». Il secondo dei volumi è conservato nella biblioteca di Gadda, con dedica del curatore. E la lunga nota di pagina 48, che il manoscritto del saggio riassume in dettaglio, si conferma fonte dell’etimologia.
La specificazione bibliografica è destinata a cadere, ma non la metafora alimentare che ne discende, ancora presente in una ulteriore redazione: «Deglutisco macaroni, sive gnocchi, specie se lubrificati in burro strutto, quanto regola comporta». E più oltre: «Qui una preghiera: non v’aveste a credere, amici, sol perché il macarone è stato messo in tavola, ad onor mio, e fuma ancora nel piatto, che io fossi il solo ad alimentarmente». Pur potata, l’immagine raggiunge le versioni a stampa: «Se il macarone è stato servito a tavola ad onor mio, e attende nel piatto, vorrei non v’aveste a credere, amici, ch’io fossi il solo ad alimentarmene» VM 106).
Dissimulata la fonte, il dato etimologico che se ne acquisisce autorizza una stratificazione semantica del concetto-chiave, che irradia sul contesto, dove un alimento si fa metafora, questa volta dell’atto stesso della scrittura – che è (gnocco) maccherone per varietà dei materiali di cui si intesse ma anche, come la micro-vicenda di una singola parola ha appena mostrato, per la densità dei legami interni che la percorrono.
mariarosa bricchi