furberia

«Verisimilmente da un francese gergale “maschile” fourbe ladro e “femminile” fourbe l’insieme dei ladri, la ladreria o marioleria d’un paese o d’una contrada di esso, come oggi diremmo in altra accezione la teppa, la malavita. Anche, in limiti più stretti, associazioni per delinquere. Fourbe equivaleva dunque voleur, coquillard (1455, sec. 15°). La Coquille è il banditismo dei congedati disoccupati al finire della guerra dei Cent’anni. In italiano è furbo (Pulci) il vagabondo, il ladro … Negli ultimi secoli e fino ad oggi, furberia ha il senso più attenuato di scaltrezza, sveltezza mentale … A parte i casi di difesa e di scampo, la furberia è attitudine e direi qualità dell’animo e modalità del contegno sicuramente infame … Anche nella vita estetica, nella galanteria e nell’arte, furbo è quegli che crede di poter utilmente indossare una camicia sporca per il giorno di nozze, o per il giorno di gloria» (Opere III, 1151-53).

I doppioni, e via moltiplicando, li voleva tutti, dunque anche la furberia si sfaccetta negli allotropi furbacchieria, furbiciattoleria, furbizie. Esempio addirittura didascalico della ricchezza suffissale dell’italiano, la girandola delle forme concorrenti sollecita Gadda, che la scatena negli scritti saggistici («Ma irridere filosoficamente a chi ci ha pompato milioni e sangue è una furbacchieria suscettibile di qualche ritorsione. Sinceramente, preferisco una buo­na bestemmia» DG 64); e soprattutto in Eros e Priapo, dove sfilano il plurialterato furbicciattoleria («misera furbiciattoleria di italianuzzi a ventre vuoto», 52) e lo pseudo-arcaismo furbizie («al provinciale saturo di sifilide e di furori blasfemi, di imparaticci e di bassa furbizie», 43). Ventaglio suffissale, per chiudere il cerchio, autorizzato dallo stesso dispiegamento del Nuovo dizionario de’ sinonimi della lingua italiana di Tommaseo (1830, ma si cita dalla «Nuova edizione napoletana eseguita sull’ultima milanese e riordinata dall’Autore», Bideri, Napoli, 1898), che, per l’aggettivo, schiera gli alterati «Furbaccio, Furbacchione, Furbacchiotto, Astutaccio, Furbetto, Maliziosetto, Tristarello, Malizietta, Maliziuccia, Furberiuola». 
La più quieta variante furberia è invece protagonista di un singolare esercizio gaddiano: la relativa voce di vocabolario, approntata, su invito di Cesare Zavattini, per l’Almanacco letterario Bompiani 1959 (la cui massima parte fu in effetti occupata da un Vocabolarietto dell’Italiano redatto da scrittori appositamente reclutati). Gadda prende l’impegno sul serio, e organizza la sua pagina secondo la canonica scansione che schiera in apertura l’etimologia (con evidente eco del saggio su Villon del 1951: «Tra i dolorosi relitti della guerra … non difettavano … le sparute frotte dei dispersi», «Una grande associazione criminale si formò in tal modo verso il 1453 … la cosiddetta “Compagnie de la Coquille”», VM 137 e 139), e prosegue quindi discutendo le diverse accezioni – i commenti si colorano di giudizio morale – e adducendo esempi letterari. I riferimenti vocabolaristici sono riconoscibili, in primis il TB, certo presente al diligente lessicografo e per il richiamo alla lingua furbesca (Gadda: «Lingua furba è il linguaggio gergale e pressoché cifrato dei ladri e marioli in genere», Opere III, 1151; TB: «Lingua o Parlare, ecc., furbesco vale Gergo», con citazione da Tommaso Garzoni «linguaggio … che da poche persone fuori di quella setta viene inteso, e capito»);  e per la chiusa della voce (TB: «Furberíe di stile; Certi artifizi e spedienti per vincere la difficoltà, o per dare risalto all'idea, artifizi di scrittore esperto, non senza ingegno e felici; ma tali furberie non fanno di per sè lo scrittore potente»).
La preferenza accordata alla variante furberia a scapito dell’oggi più comune furbizia non va attribuita a Gadda (l’elenco dei lemmi fu approntato dal committente), e si spiega comunque con la maggior diffusione della prima forma non solo a inizio Novecento, come documenta la ricchezza di esempi di Crusca V, a contrasto con la mera definizione, non accompagnata da esempi, di furbizia, ma fino allo stesso 1959 in cui Gadda compilò la voce, se un comunissimo vocabolario dell’uso quale il Vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli (Zanichelli, Bologna, 1959) registra furberia e omette furbizia. Tra le due opzioni, i lessicografi a cavallo del secolo registrano concordemente una escursione semantica, perché furbizia non ha, secondo TB «i più gravi sensi» di furberia, ma si definisce, come «Furberia, in buon senso» (così Policarpo Petrocchi, Nòvo dizionàrio universale della lingua italiana, Treves, Milano, 1887-91). La variante insieme meno marcata e più semanticamente pregnante è dunque quella a maggior diffusione anche nei testi gaddiani, dove si sgrana con connotazioni che muovono dall’indulgenza al disprezzo. Vale per il primo estremo il «lampo di gioconda e spregiudicata malizia: o addirittura di furberia» dei begli occhi di Adalgisa (L’A 286); per il secondo l’apoftegma inciso nella prosa del Castello di Udine: «Il mito della furberia è un ignobile e turpe mito» (132). Ridotte invece le apparizioni di furbizia, tra le quali si segnala un ritratto di Palazzeschi, sul «Mondo» nel 1946: la sua scrittura ha inseguito, «col retino della furbizia, la dolce e tremula farfalla della malinconia, della simpatia umana, della carità, della tenerezza» (DG 150).

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