cestatore

«[Franco Velaschi] era alto, magro, fortissimo: con caviglie di tendini soli, con gambe dove si disegnavano i fasci del cestatore o del discobolo, con un torace ampio e lineato quasi nell’anelito dell’Adamo, risorgente dall’ombra e dai misteri cupi della Sistina; dove, a ogni volgersi, a ogni distendersi, mordeva sopra le costole dilatate il polipo sagace d’una musculatura implacabile» (M 533-534).

Il termine compariva anche in Un fulmine sul 220. Il «pugile» dell’Adalgisa («l’odor solo della “borsa” inebria il pugile alla lotta», nel racconto eponimo, L’A 279) è trasformazione dei «cestatori» del romanzo rimasto incompiuto, da cui questa parte del ‘disegno’ milanese deriva: «come l’odor solo della “borsa” inebriava i cestatori alla lotta» (Fu 154). Per una volta a un termine specifico Gadda sostituisce per le stampe quello più comune: cestatore infatti è parola introdotta da Gadda per evocare l’immagine muscolare del ‘pugile dotato di cesto’ del mondo classico. Come spiega il GDLI alla prima accezione della voce, il cèsto era una «specie di guanto, usato dai pugilatori greci e romani, costituito da numerose strisce di cuoio durissimo intrecciate (a cui erano uniti pezzetti di ferro o di piombo) che coprivano il dorso della mano e le prime falangi delle dita, passavano sotto la palma e avvolgevano il polso e l’avambraccio fino al gomito» (con esempi che vanno da un volgarizzamento trecentesco a D’Annunzio e Ojetti); da qui la seconda accezione della parola: «Il pugilato antico, che si combatteva con le mani armate con i cesti» (con esempi da Boccaccio a Giovanni Prati). Alla base della scelta di Gadda sarà con ogni probabilità l’auctoritas virgiliana del l. V dell’Eneide, dove nell’episodio della lotta tra Entèllo e Daréte più volte si citano i caestus (vv. 401, 410, 420).
Dunque è da correggere l’errata e davvero fuorviante definizione che di questa parola gaddiana viene data nel GDLI, riportandone l’unica occorrenza dalla Meccanica (peraltro il vol. III del GDLI, entro cui si legge la parola, pubblicato nel 1964, cita dal racconto Papà e mamma delle Novelle dal ducato in fiamme del 1953, un ‘estratto’ della Meccanica che aveva visto la luce su «Solaria» già nel 1932, dunque negli stessi anni di elaborazione del Fulmine, depositario dell’altra occorrenza della parola): «Giocatore di pallacanestro, cestista». Ma nulla c’entra la pallacanestro. Per le gambe da cestatore del giovane Velaschi è invece il pugilato classico, col suo corredo di immagini – così come per il discobolo, che subito rinvia al capolavoro marmoreo di Mirone –, a fornire il giusto termine di paragone: fondamentale e bellissima la statua bronzea del “Pugile in riposo” del Museo Nazionale di Roma, potenzialmente noto a Gadda anche per la riproduzione in tavola a tutta pagina nell’Enciclopedia Treccani, nel vol. III (1929), alla voce Apollonio di Atene, lo scultore al quale allora si attribuiva la splendida opera (oggi si propende per Lisippo, si veda la voce https://it.wikipedia.org/wiki/Pugile_in_riposo), dove il pugile ha mani e avambracci visibilmente equipaggiati di caestus. La consueta precisione terminologica anche nell’invenzione lessicale rivela qui, nel delineare una giovane figura maschile di spiccata perfezione fisica, il fascino esercitato su Gadda dalla ‘permanenza’ dell’arte antica, poesia-scultura fuse nel mirabile sinolo Virgilio-Apollonio (o Lisippo).

claudio vela