canarinizzata

«Il palazzo dell’Oro, o dei pescicani che fusse, era là: cinque piani, più il mezzanino. Intignazzato e grigio. A giudicare da quel tetro alloggio, e dalla coorte delle finestre, gli squali dovevano essere una miriade: pescecanucoli di stomaco ardente, quest’è certo, ma di facile contentatura estetica. Vivendo sott’acqua d’appetito e di sensazioni fagiche in genere, il grigiore o certa opalescenza superna del giorno era luce, per loro: quel po’ di luce di cui avevano necessità. Quanto all’oro, be’, sì, poteva darsi benissimo ciavesse l’oro e l’argento. Una di quelle grandi case dei primi del secolo che t’infondono, solo a vederle, un senso d’uggia e di canarinizzata contrizione: be’, il contrapposto netto del color di Roma, del cielo e del fulgido sole di Roma … Davanti al casermone color pidocchio, una folla» (QP 25-26).

Del palazzo al 219 di via Merulana, entro cui sguazzano i «pescicani», «squali» sì, però «pescecanucoli», gli arricchiti ma non di prim’ordine (-ucoli) grazie agli affari speculativi favoriti dalla guerra, è caratteristica una correlativa tetraggine dell’esterno, che impegna una tavolozza di ‘mancanze di colore’ – opposta al «color di Roma», alla luminosità fulgida del cielo di Roma –  compendiata, per l’intonaco irregolarmente scrostato, a ricordare l’effetto della tigna sul cuoio capelluto, in un complessivo aspetto «intignazzato». Pertinente dunque, con efficace coerenza a distanza, che nel primo interrogatorio del Balducci proprio in riferimento al palazzo gli si chieda conto del perché lui e la moglie «con tanti mezzi» vivessero comunque «là tra queli bottegari tignosi, negozianti in ritiro, commendatori da millecinquecento ar mese» (103-104). A bottegai moralmente tignosi («pescecanucoli») ben si confà un esterno «intignazzato», al cui effetto contribuiscono direttamente il grigio (e se ne contagiano il grigiore e l’opalescenza di una luce diurna percepita dagli «squali» come smorzata da profondità marine), e poi, ancora nell’àmbito di bestiario inaugurato dai «pescicani», il colore di una «canarinizzata contrizione» che si determina infine nello squallore bianco-grigiastro del «color pidocchio». Dunque canarinizzata varrebbe ‘color giallo canarino’ (precisamente «giallo chiaro canarino» sarà per la ricetta milanese la risultante di una moderata aggiunta di zafferano in Risotto patrio. Récipe, VlC 119): neoformazione gaddiana che si appoggia a -izzare, suffisso tuttora molto produttivo per la formazione di verbi da sostantivi (come in questo caso) o aggettivi, e con riscontri che nello stesso Pasticciaccio vanno da una parola-capolavoro quale «dekirkegaardizzava» (163) – da godere col dipendente complemento oggetto «farabuttelli di provincia» (soggetto è la Zamira) – ad altre forme participiali con valore di aggettivo da verbi però non altrimenti attestati, come «epicizzate» (52) o «questurinizzata» (101). Ma canarinizzata è la contrizione: uno di quegli inaspettati sintagmi gaddiani che sono come un superconcentrato da diluire. Al repertorio cromatico metaforico del giallo – viene subito in mente il giallo-itterizia di chi prova rabbia impotente o paura senza scampo – Gadda aggiunge qui l’inedito giallo equivalente della contrizione. Spiega il Commento: «‘contrizione di colore giallastro’, ipallage; l’indicazione cromatica ha una connotazione emotiva. L’aggettivo è neologismo gaddiano da canarino, ‘colore giallo tenue’» (85). Che è tutto vero (diversamente dal piuttosto incongruo «Grigio-verdastro. Anche figur.» del GDLI, per questo solo es. gaddiano) ma forse non basta. Il sintagma dipende, col precedente «uggia», da «senso» ‘sensazione’, infusa nei risguardanti alla visione immediata: uggia certo vale ‘noia, fastidio’ ma anche, significato meno comune che qui è da presumere metaforicamente attivo non meno del precedente, ‘ombra, mancanza di luce e di sole’. Perché dunque la contrizione (una sola altra occorrenza nel Pasticciaccio, letterale, a proposito della Virginia: «Ma lei, pe tutta contrizione, aveva arzato le spalle, quela bestiaccia», 151), comunemente ‘sentimento acuto di dolore e di pentimento per colpe o falli commessi’ (GDLI), per estensione di un termine tecnico della teologia cristiana? Il sospetto è che qui agisca, a norma di etimo, la contritio latina, in particolare nel suo significato di ‘miseria’ e ‘rovina’. È come se questo esterno dimostrasse nella sua attuale miseria il pentimento – antropomorficamente – di aver brillato a suo tempo di un bel giallo canarino, una passata pretesa cromatica di cui chiedere scusa, intignazzandola, virandola al pidocchio: ora un’ombra uggiosa, pallido ricordo di una squillante luce remota. Ma nello stesso tempo come non pensare, data l’associazione spontanea che ci porta subito a collegare il canarino alla sua gabbia, che la «contrizione» non sia anche «costrizione»? (È sufficiente, e facile, il salto mentale da n a s, e Gadda ci ha abituati a immaginare questi passaggi anche quando non sono espliciti, con guadagno di stratificazione semantica da pagare col dubbio della sovrainterpretazione, ma con Gadda meglio eccedere che difettare). Antitesi e ossimoro: il palazzo dell’Oro, metallo di prezioso fulgore, emana invece opaca tristezza, luce degradata di acquario, bellezza prigioniera.

 

claudio vela