batti e ciaffa
«Ancora mi risuonano negli orecchi quelle parole, in lingua nostra, tra il batti e ciaffa demoniaco de’ martelli e de’ cianfrini pneumatici, che veniva, di su, d’addosso le lamiere delle torri, dal ricucire le lamiere dei gasometri.» (VM 77)
In questo passo di Tecnica e poesia, apparso dapprima sulla «Nuova Antologia» del giugno 1940 e approdato senza varianti a I viaggi la morte nel 1958, si inaugura il composto con valore di sostantivo batti e ciaffa, assimilabile alla categoria dei cosiddetti binomi irreversibili che uniscono due temi verbali con congiunzione intermedia, alla maniera di “tira e molla” (cfr. Enciclopedia dell’italiano, s. v. polirematiche), o anche di “batti e ribatti” (che aggiunge l’iterazione). Da questi lo stacca però la possibilità dell’inversione: grammaticalmente cioè si potrebbe ammettere, in via ipotetica, la reversibilità dei costituenti, *ciaffa e batti, ma è del tutto evidente che il pattern formale sottinteso privilegia «batti» in prima sede (sono facilmente reperibili occorrenze di «batti e pesta» o simili, ad es. nel Nievo, peraltro senza valore sostantivale), e che a questo si rifà Gadda. Solo che il ciaffa è una sua invenzione, registrata appunto con questa sola attestazione dal GDLI s. v. ciaffare, ‘afferrare, prendere’, e considerata «voce onomatopeica». Le neoformazioni gaddiane non sono mai gratuite, molteplici causali le sostanziano. L’origine onomatopeica della parola, da verificare, non basta affatto a definirla, né tanto meno ad avallarne il significato proposto dal GDLI, come se si trattasse di una sorta di variante di ‘(ac)chiappare’ (il famoso ciapà milanese su cui cfr. il Gaddabolario). La precisione descrittiva di Gadda è proverbiale: mai avrebbe potuto sostenere che «martelli» o «cianfrini» possano “afferrare” o “prendere”. Una lettera a Silvio Guarnieri del dicembre 1931 fa proprio al caso: «“I fabbri saldavano i bulloni nelle lamiere…”, diceva un grande giornalista pochi mesi fa. / Io, pedante, osservo: / Le lamiere dei transatlantici non sono bullonate, ma chiodate. Poi cianfrinate e calafatate. / I bulloni non si saldano, ma si stringono. / I chiodi non si saldano, ma si ribadiscono a caldo. / Qualunque fabbro-ferraio od aggiustatore meccanico avrebbe detto in buon italiano: “… I maestri chiodatori ribadivano i chiodi roventi (o a caldo) col martello pneumatico…” Che c’entra la saldatura?» (Marcello Carlino - Francesco Muzzioli, Tre lettere di Carlo Emilio Gadda a Silvio Guarnieri, «L’ombra d’Argo», a. I, nn. 1-2, 1983, p. 156). Non solo la rivendicazione della pertinenza terminologica, qui cade perfettamente a proposito l’ambientazione lavorativa stessa che richiede quella pertinenza, tra «lamiere … cianfrinate» e «martello pneumatico». Ecco: trattandosi di strumenti atti a ‘cianfrinare’, termine tecnico (dal francese chanfrein) che il Vocabolario Treccani definisce ‘nelle costruzioni meccaniche, battere con speciale scalpello (a mano o mediante martello pneumatico) lo spessore del bordo delle lamiere e il contorno delle teste dei chiodi in modo che il metallo, per deformazione plastica, serri e chiuda gli interstizî, assicurando una tenuta ermetica’, per i cianfrini ciaffa risulta essere non altro che un sinonimo di batti, come conferma al di là di ogni dubbio l’«udendo battere cianfrini lontani» del ‘disegno’ milanese Quando il Girolamo ha smesso… (L’A 30). Allora perché la distinzione, se sempre di “battere” si tratta? Entrano in gioco, probabilmente, il demone del significante e insieme un ulteriore grado di raffinatezza percettiva: non saranno proprio uguali i suoni/rumori prodotti da martelli e cianfrini. Questi, con quel sonoro cianf- iniziale, raro in italiano (a parte i lemmi che rientrano nel campo semantico del cianfrinare, il GDLI registra solo rarità come cianfarda, cianfardone, cianfrogna, cianfrugliare, cianfruglio, cianfruglione, e, unica parola di uso comune, cianfrusaglia, alle quali il Supplemento 2004 aggiunge cianfragnoccola, cianfrosa e cianfrugliato), si meritavano una designazione altrettanto espressiva per l’effetto uditivo del loro diverso battere: *cianfa sarebbe stato forse banale per immediatezza di riferimento all’oggetto, mentre ciaffa trasporta in àmbiti analogici – di significante – ampiamente suggestivi, magari agenti dal sottosuolo, per Gadda. Si può partire dall’«indovinello (validamente onomatopeico)» che lui cita nel Concerto come «Sott al pont de cìk e ciàk / Gh’eva sott Berlìkk-berlàkk» (L’A 227 nota 49), filastrocca milanese però altrettanto diffusa nella variante «Sott al pont de ciff e ciaff / Lì ghe stà Bergniff Bargnaff», più vicina alle registrazioni del vocabolario milanese del Cherubini di Ciàff e Ciàffeta come «voce con cui si vuole esprimere quel suono che fa una cosa che percota nell’acqua», di Ciaffolèt. Ciaffolin, «nomi ideali di diavoli», di Ciff, «voce che si usa nella frase “Andà denter a ciff e ciaff”. Sfangare. Camminare pel fango, pei pantani». Nonostante la variante gaddiana, siamo comunque nei pressi del Berlàkk o Bargnaff che danno conto, dal sottosuolo certo, del batti e ciaffa «demoniaco» dell’unisono di martelli e cianfrini dei cantieri frequentati dal Gadda ingegnere. E non ci si ferma più: per il suono, ma non per il significato, si va dal ciaff interiettivo del portiano Lament del Marchionn di gamb avert, v. 511, al ciaffo del Belli, «cosa confusa, senza ordine nè verso» (definizione dell’autore), del son. 398, v. 10. E di nuovo ancorandosi al milanese, entrano in campo lo s-giàff e la s-giàffa, entrambi ‘schiaffo’ (anche l’azione dello schiaffo, reale o metaforico, è un ‘battere’), e da lì il salto è agevole alla schiaffata, «colpo più o meno violento e rumoroso dell’onda contro la riva», nella definizione del GDLI, che come primo dei due soli esempi cita, dal gaddiano Guerriero, «le schiaffate del frangente... addosso ai ciottoletti della piaggia... dànno quel canto sgranato, e sommesso» (GASP 45): col che entro il nostro ciaffa si insinua anche la traccia di quest’altra componente sonora. Ma poi ciàf senz’altro, questo davvero onomatopeico, è anche, nel Pasticciaccio, il rumore «d’un qualche gocciolone» organico non potuto trattenere dalla vecchia carente di mutande «sulla banchina di Casal Bruciato» (QP 242). Né, di accostamento in accostamento, si potrà trascurare, giunti fin qui, la predilezione gaddiana per la peregrinissima locuzione, di così sorprendente vicinanza formale, battere il ciaraffo (cfr. Glossario s. v. ciaraffo), ‘battere cassa’ o anche, nell’uso fiorentino, ‘tirarla per le lunghe’, che ricorre nella nota napoleonica del Gerolamo (L’A 63), e poi in Je meurs de seuf au près de la fontaine, del 1951 (VM 144), e arriva alla recensione cinematografica Dal Carso alla sala di proiezione, del 1959 (Opere V 1171). Una microstruttura – e tronchiamo qua le derive che dal batti e ciaffa si moltiplicano – che non si può escludere agisca perfino nel nome del Bottafavi del palazzo di via Merulana, il «sor Botta e Fava, come dicevano» (QP 35). Così, per le saldature dell’interpretazione, Gadda induce anche il ciaffare degli opportuni cianfrini ermeneutici.
claudio vela