Tolstoewski/Prott

«Devo notare che parole vane sono ancora quelle, per quanto brutte, di chi si crede scansarle con lo scrivere male e con maltrattare l’idioma. E quelle di chi non ha nulla da dire: e fabbrica pagine e pagine sopra i disegni della tappezzeria, dandosi a credere di aver importato il Tolstoewski e magari il Prott in Italia: o lucubrando sistemi falansterici nei quali invesca, dopo che se stesso, altri facitori e venditori di parole» (VM 449).

Il saggio Meditazione breve circa il dire e il fare, pubblicato in rivista nel 1937 e confluito quindi nella raccolta I viaggi la morte (1958), difende una tesi: i vizi dell’espressione, dunque le parole false o destituite di senso, influenzano il giudizio e di conseguenza l’agire umano.
Entro un percorso argomentativo fitto di esempi orientati a dimostrare, il micro-ritratto di chi non ha nulla da dire si distende in una frase ben gaddiana, biforcata, grazie alla consueta moltiplicazione dei due punti, a disegnare azioni diverse e ugualmente scellerate: adorna, la seconda campata, di tessere lessicali selette (il raro falansterici, con questo solo esempio gaddiano nel GDLI; le varianti antiche lucubrare e invescare); marcata da invenzioni irriverenti la prima. L’ircocervo onomastico Tolstoewski e la deformazione milanesizzante Prott (negli Accoppiamenti giudiziosi si affaccia un «Protti, per la circostanza cocchiere in cilindro», 852) evocano in forma di sberleffo autori da tempo familiari a Gadda: Guerra e pace era stato «svogliatamente» ripercorso al fronte, nel settembre del 1916, ma a seguito di una dichiarata lettura precedente (GGP 625); Dostoevskij figura tra i riferimenti dell’aspirante scrittore che si accinge al Racconto italiano di ignoto del Novecento (annotazione del 26 marzo 1924); nella biblioteca di Gadda si conservano infine, e la cosa non sorprende, gli otto volumi dell’edizione Gallimard della Recherche. Più ritardato era stato però l’insediamento della triade franco-russa nel canone delle patrie lettere: Guerra e pace appare in versione integrale dal russo nel 1928; Dostoevskij, pur programmaticamente assunto dai solariani a modello («Per noi, insomma, Dostojevski è un grande scrittore», «Solaria», I, gennaio 1926), conobbe traduzioni sistematiche solo con la nascita della casa editrice Slavia, nello stesso 1926 (primo volume: I fratelli Karamazov, che Gadda possedeva); la versione completa della Recherche, presso Einaudi, non si conclude invece prima del 1951. Difficilmente, dunque, i tre nomi sarebbero stati promossi a manifesto da una schiera di mal-scriventi (e, si deve credere, mal-leggenti), pronti a farsi schermo di una cultura tanto à la page quanto superficiale, al momento della pubblicazione del saggio in rivista. Dove, infatti, la pirotecnia onomastica è del tutto assente: «… e fabbrica pagine e pagine sopra i disegni della tappezzeria, dandosi a credere di aver importato il Proust in Italia …». E, poche righe oltre: «Quanto al Proust in Italia, la storia sarebbe troppo lunga e troppo difficile: e anche, lo confesso, superiore alle mie forze» («Letteratura», I, 1). Ormai assunti entro un olimpo letterario ampiamente condiviso sono invece Tolstoj, Dostoevskij e Proust tra la fine del 1955 e i primi mesi del 1956, quando il saggio entra nella progettata struttura dei Viaggi la morte. Ed è allora che Gadda interviene anche su questo passo, e lo accende di una girandola verbale che contro-bilancia la preziosità della definizione che segue (immutata, rispetto all’apparizione in rivista). Ma la chiave della variante sta altrove, ed è il meccanismo stesso della storpiatura a indicare la pista. Tolstoevski e Prott non discendono da una generica volontà buffonesca (Opere III, p. 1316), né unicamente dall’assunzione ironica del diffuso stereotipo che voleva Dostoevskij scrittore disattento alla forma (il collegamento, comunque importante, si deve a Sergia Adamo, in Gadda e Dostoevskij, EJGS). Piuttosto, Gadda non perde occasione di forgiare anche il nuovo inserto in accordo con la marca stilistica dominante del saggio. Meditazione breve adotta infatti una strategia argomentativa peculiare, che ricrea, iperbolizzandoli, quegli stessi vizi che, nel contempo, si incarica di combattere. Come accade, per affiancare a quello in esame un singolo esempio, in questo passaggio: «Allora tu senti il vacuo che si sviluppa dal vuoto, il vuoto dal buco, e il buco dal vento, e il vento dal vacuo con un’armonia ed una facilità incantative, secondo una consecuzione cìclica, o fuga riallacciata per da capo al suo principio, a mo’ di ritorno o rondò» (VM 450). Il circolo vizioso non è solo descritto, ma tradotto in parole (vacuo-vuoto-buco-vento-vacuo), così come il mot-valise Tolstoevski e l’alterato Prott altro non sono che esibite marche di discorso indiretto libero: sono l’irruzione sulla pagina della voce dei letterati da strapazzo che, avendo solo orecchiato i nomi di scrittori, per consenso ormai comune, sommi, li storpiano goffamente. Ed ecco che, in due singole parole, vertiginosamente si rispecchia l’intero saggio.

mariarosa bricchi