sofeghino
«Nei giudizî di Sciaccaluga sul mio Sofeghino, (nome dato da Betti alla Passeggiata autunnale), Betti riscontrò prevenzioni retoriche» (GGP 474).
Nella Baracca 15c, la «Baracca dei poeti», poesie e racconti sono una strategia di sopravvivenza. Il Gaddus scrive, e baratta ciò che ha scritto con ciò che i compagni scrivono. Anche per ispirarsi, visto che «Le parole dei molti poeti sono come gli asciugamani dei molti coscritti, in camerata, che il tuo di oggi è il mio di domani e viceversa» (DG 170). Negli ultimi giorni del novembre 1918, a vittoria annunciata, e nella dolorosa attesa del ritorno, Gadda consente dunque che i compagni di prigionia leggano il racconto che aveva scritto dal 22 al 30 agosto 1918: La passeggiata autunnale. Ma il giudizio è netto: «Il Sofeghino è stato scritto male e in fretta: (Betti, Sciaccaluga se ne accorsero: impressione generale e vera)» (GGP 474). Il racconto è lungo, pesante, noioso. Fa venire il sòffegh, dal milanese soffegà, ‘soffocare’, come dirà poi l’Adalgisa, sostenendo che per «mazzare» gli scarabei del «povero Carlo» ci vuole «un qualche cosa che li soféghi subito» (L’A 277). In milanese, infatti, sòffegh è «Afa. Vampa affannosa, fastidio, inquietudine provegnente da gravezza d’aria o soverchio caldo che rende difficile la respirazione» (Cherubini 1814, s.v.). Quindi il sofeghino non sarà, come in GDLI, a commento del termine in una lettera di Gadda a Betti, «Lieve senso di noia, di oppressione, di fastidio», ma piuttosto la causa di quella oppressione: il primo soverchiante prodotto della sua prosa.
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