Gaddus

«Hodie quel vecchio Gaddus e Duca di Sant’Aquila arrancò du’ ore per via sulle spallacce del monte Faetto, uno scioccolone verde per castani, prati, e conifere, come dicono i botanici, e io lo dico perché di lontano guerciamente non distinsi se larici o se abeti vedessi» (GGP 24).

Gran deformatore di nomi, inventore di nomi parlanti, giocoliere di sberleffi onomastici, Gadda esclude il suo proprio nome da trattamenti manipolatori furibondi (occhieggia, nel Castello di Udine, un isolato «Gaddone», che si colloca però entro un discorso diretto di Tecchi, 159). Pervasiva è invece la nobilitazione latineggiante Gaddus (talvolta lombardizzata in Gaddǜs, per esempio GGP 120) che, dalle lettere della giovinezza, si distende fino ai testi adulti, e approda alla più esposta delle posizioni, il titolo (I viaggi di Gulliver, cioè del Gaddus). Collabora al conio, con le generiche letture latine, la mappatura del territorio brianzolo messa in opera dai ragazzi Gadda, e testimoniata da alcuni documenti risalenti all’adolescenza: «Anticamente due grandissimi imperi, Targhìnos e Gaddàlis, dominavano parte l’uno e parte l’altro la Landomagna» (Gian Carlo Roscioni, Il duca di Sant’Aquila. Infanzia e giovinezza di Gadda, Mondadori, Milano, 1997, p. 74). Echi cesariani e gaddizzazione toponomastica preparano l’apparizione dell’altro titolo autoattribuito, spesso in associazione col nome: Duca di Sant’Aquila. Come un umanista, il futuro scrittore latinizza il suo nome e, come in un bestiario o in una favola, araldicamente si ammanta dell’effigie di un animale nobilissimo. Inguainato in questa doppia armatura, l’io autoriale potrà farsi beffe di sé («Sono sempre il Gaddus, sempre più balogio che mai, sempre più sconclusionato, svirgolato, sfessàto, ma sempre più bilioso e pieno di invettive contro tutti», Lettere agli amici milanesi, pp. 30-31), ma anche distinguersi – unico individuo singolo entro la massa familiar-plurale dei milanesi accorsi al Circolo Filologico: «Il bibliotecante di turno ha un bel rintuzzare gli assalti e l’impeto degli aggressivi Caviggioni, che, in drappo ricco, avidi d’ogni sapere, gli sottopongono le schèdule delle loro richieste terzo-piano, concomitanti con quelle dei Perego, dei Biraghi, dei Maldifassi, dei Corbetta, dei Rusconi, dei Bernasconi, dei Trabattoni, dei Repossi, dei Comolli, dei Lattuada, del Gaddus» (L’A 152). Per una volta, la torsione non abbassa ma solleva; non deprime ma protegge: scherno e schermo si alleano,  e sulla clausola in Gaddus l’enumerazione atterra con sguardo (quasi) benevolo.

mariarosa bricchi