basettico

«Erano scritti immediati di 37 anni prima, non mai riletti. E dire che i due volumi, come tutti i miei, vengono da un patimento vissuto, non da immagini teatrate o posticce o da petizioni di principio tolte a orecchio dalla verbosità corrente e dalla frode corrente per cavarne un atteggiamento scenico, baséttico, pappafichesco: (alludo ai pappafichi in auge nel 1880-1900)» (Lettere a Citati, pp. 33-34).

Ci sono, in Gadda, invenzioni lessicali di tale densità da far pensare a piccole masse sature di vita, dall’enorme peso molecolare: è il caso dell’hapax basettico, dove l’irridente allusione a Foscolo che la sostanzia – Foscolo è infatti «il Basetta», «Capitan Basetta», «il sepolcrale Basettone», colui che ha cercato di «imporsi nelle lettere e con le donne a base di basette, col pelo, con questo “largo petto”, “nudo petto”, “irsuto petto”» (GASP  24, 58, 63;  Alberto Arbasino, L’Ingegnere in blu, Milano, Adelphi, 2008, pp. 63-64) – veicola per contrasto una vocazione: a riscattare la parola «dall’ossessione della frode» e «ricreare la magìa della verità» (VM 453), a rigettare atteggiamenti «non patiti nella verità intensa dell’anima e men che meno fatti pragma», a perseguire i «compiti noètici» e le «responsabilità conoscitive» (VM 434) assegnate allo scrittore. Scrittore e certamente non vate, giacché per Gadda l’io rappresentatore è in realtà un «groppo … di rapporti fisici e metafisici», e solo dalla «tensione polare» (VM 428) con la cosa rappresentata nasce l’atto espressivo. Basettico varrà allora ‘istrionico, narcisistico, alla maniera del Foscolo’, e non stupisce che nella fervida rivendicazione indirizzata a Citati sia contiguo a teatrato ‘bugiardo, simulato’ (dalla neoformazione teatrare; cfr. Luigi Matt, Invenzioni lessicali gaddiane. Glossarietto di «Eros e Priapo», in QI, 3, 2004, pp. 97-182), quindi anche ‘disetico, amorale’ (cfr. QP 100: «“Adoperare” l’avvenimento … alla magnificazione d’una propria attività pseudo-etica, in facto protuberatamente scenica e sporcamente teatrata, è il giuoco di qualunque, istituto o persona, voglia attribuire alla propaganda e alla pesca le dimensioni e la gravezza di un’attività morale»), e soprattutto a un secondo hapax, pappafichesco (dal romanesco pappafico, «Barbetta a punta, pizzetto», come glossa Fernando Ravaro, Dizionario romanesco. Da «abbacchià» a «zurugnone» i vocaboli noti e meno noti del linguaggio popolare di Roma, introduzione di Marcello Teodonio, Roma, Newton Compton, 1994; e si veda infatti L’A 314: «In Italia Francesco Viganò e l’infaticabile Luigi Luzzatti ( …  economista, sociologo, filantropo, docente universitario, ministro del Regno, senatore del detto, ornato di pappafico)»), cioè ‘cinico, declamatorio, consono a un poeta-vate’. Come D’Annunzio, provvisto di barbetta a punta, «esibitivo, narcissico», incline alla «vita piuttosto “elegante”, comoda, “mentre altri marcivano nel fango delle trincee o sotto i bombardamenti della Harmada”» (Arbasino, L’Ingegnere in blu, cit., pp. 72-73): a quei dolci agi, insomma, che etimologicamente pappafico suggerisce. Se il giudizio su D’Annunzio può talora essere irrevocabile (a proposito del Fuoco, ad esempio, in DG 308), va tuttavia ricordato che Gadda lo riteneva meritevole di rispetto «per il suo studio della lingua» e «per la sua capacità di lavoro» (Arbasino, L’Ingegnere in blu, cit., pp. 72-73) e che le Laudi figurano tra i «cari libri» che, prigioniero a Rastatt, rimpiange di aver lasciato «in mano dei tedeschi» (GGP 275, 25 dicembre 1917). Resta il fatto che attraverso tre aggettivi repoussoir (qui applicati al Giornale di guerra e di prigionia e I viaggi la morte) Gadda compone una costellazione semantica capace di sintetizzare un’intera poetica.
Questa voce deve molto ai consigli di Claudio Vela, che ringrazio di cuore.

giorgio pinotti