affrosa

«Ho trovato provvisoria dimora in una camera d’affitto, col solito vedovone singhiozzante (una affrosa megera, specie nelle ore mattutine) e con un cane puzzolente» (Confessioni, p. 78).

È il 20 dicembre 1950: Gadda è da poco approdato da Firenze a Roma, dove lo attende il primo lavoro non ingegneresco della sua vita. Consulente (quindi assunto, a partire dal luglio 1951) presso la Radio, lo scrittore cerca casa. E, come era costume dei tempi ma, soprattutto, sua personale abitudine, si rivolge al mercato delle camere ammobiliate. Lo accompagna una lunga, errabonda, disastrosa esperienza di locatario. Lo schema, puntualmente registrato nelle lettere, è ricorrente: insediamento speranzoso; registrazione, in crescendo di intolleranza, di disagi e disturbi; abbandono della sistemazione precedente e nuovo insediamento. Attorno all’itinerante ingegnere ruota un’umanità squattrinata di proprietari e coinquilini, oggetto di micro-ritratti incuriositi e malevoli. Da Buenos Aires, il 29 marzo 1923: «la padrona pare una brava signora, il padrone ha via una gamba» (Lettere alla sorella, p. 62); da Roma, il 7 aprile 1934, all’amico Ambrogio Gobbi: «passo da una pensione all'altra, preda delle spettinate megere. Delle orde di pellegrini … girano per casa in mutande in cerca dell'introvabile cesso, suscitano in me un'ira sorda e terribile» (Lettere agli amici milanesi, p.47). L’impatto olfattivo è, fin dalle prime esperienze, una variabile di peso: l’8 ottobre 1926, da Roma, aveva scritto alla sorella: «In casa c'è un buon odore di unto e di cristiani che si lavano per Natale … La finestra ha un vetro rotto. Ci sono 2 quadri, con un miracolo ciascuno, una toilette di marmo color miseria e dei mobili vecchi» (Gian Carlo Roscioni, Il piacere del ritorno, «la Repubblica», 15 agosto 1993).
Dunque, l’«affrosa megera» altro non è che l’ennesima reincarnazione di un tipo umano ricorrente, aureolata qui di un aggettivo, per Gadda, inconsueto (anche il sostantivo compare una sola volta, quando a proposito di un villico serruchonese si registra «l’afrore dei di lui piedi ed ascelle, e qualchecos’altro», CdD 165). Ma la forma affrosa con doppia f – refuso o consapevole neologismo – porta con sé una moltiplicazione semantica tipicamente gaddiana. L’aggettivo – privo, in questa forma, di riscontri vocabolaristici – si spiega infatti come interferenza tra il francese affreuse e l’italiano disusato afrosa (allotropo della ancor più rara variante afroroso, sconsigliata dal TB). Nel gioco di Gadda la quasi-sovrapposizione grafica intreccia così il significato francese di «spaventosa» con quello italiano di «odorosa», solidale il secondo non solo con una esibitissima idiosincrasia d’autore, ma con l’immagine del «cane puzzolente» che compare nel seguito della frase.

mariarosa bricchi